L’autobiografia come strumento di autogestione del paziente diabetico
di Daniela Placenti - Formatrice scrittura terapeutica e consapevole
Il parere dell’esperta

In che modo scrivere di sé può aiutare
a gestire una condizione medica cronica come il diabete?
La medicina occidentale moderna ha sconfitto numerose patologie, individuando delle strutture di malattia e di cura, ricercando l’oggettivo. Tuttavia, in una condizione cronica quale il diabete, utilizzare l’approccio logico-razionale, rischia di lasciare indietro fattori di vita propri del paziente, a sé ascrivibili come fattori di ostacolo o di cura, considerando il diabete come condizione cronica. Se mettiamo a confronto il pensiero paradigmatico, tipico del ragionamento scientifico e il pensiero narrativo, notiamo che il primo correla un caso individuale con categorie generali in un rapporto di subordinazione o sovraordinazione mentre il secondo correla i fatti ad un contesto preciso, ad accadimenti individuati e reali (Smorti, 1994).
PENSIERO PARADIGMATICO PENSIERO NARRATIVO
Tipico del ragionamento scientifico Tipico del ragionamento quotidiano
Orientamento verticale Orientamento orizzontale
Libero dal contesto Sensibile al contesto
Nomotetico e paradigmatico Ideografico e sintagmatico
Validato attraverso la falsificazione Validato in termini di coerenza
Costruisce leggi Costruisce storie
Estensionale Intensionale
Generalmente i pazienti organizzano la loro autobiografia con il criterio cronologico, partendo dall’infanzia, tuttavia ciascuno può scegliere il criterio più confacente, ad esempio la suddivisione tematica con un capitolo sulla famiglia, uno sulle relazioni, uno sul lavoro, ecc.
Per convivere con il suo diabete, la persona deve attribuire un senso alla sua condizione, al suo mondo e alla sua vita. Egli deve dare un’interpretazione a quanto vive, deve attribuire dei significati alla sua realtà. L’attribuzione di significati avviene tramite il linguaggio, che diventa quindi il mezzo attraverso cui le persone interpretano e danno un significato alla loro vita. Nel racconto del suo diabete, il paziente elabora e rivela l’interpretazione della sua condizione, con i significati che gli attribuisce. L’idea che l’individuo si forma di sé come diabetico, si costruisce in parte attraverso l’interazione con la sua cultura o meglio con le culture alle quali il paziente e la sua famiglia fa riferimento e i significati che queste culture davano alla patologia prima della diagnosi; in parte attraverso lo scambio con i significati che al diabete sono attribuiti dal sistema scientifico e dell’équipe di riferimento, in uno scambio interno-esterno.
Proporre al paziente di redigere una autobiografia può apparire una richiesta sproporzionata o fuori luogo nel contesto di una relazione di cura. Eppure la Diabetologia è un ambito che parte avvantaggiato in questo senso poiché il paziente è abituato a redigere un diario anche se con dati quantitativi. Redigere un’autobiografia diventa essenzialmente atto terapeutico, poiché quando si scrive della propria vita si compie un lavoro metacognitivo sul sé per accettare la (nuova) condizione cronica, per definire una nuova identità che non leda aspetti essenziali della propria vita, per acquisire ed attivare strategie di adattamento di tipo evolutivo (Bobbo, 2021). Per esperienza personale so che pazienti che non accettano la loro condizione diabetica hanno un controllo peggiore sulla loro condizione, così come la scelta di aderire alle terapie deve essere autonoma, libera e consapevole perché accompagni nel corso della vita.
