
«Se vi chiedono che lavoro farete da grandi, risponderete che il vostro lavoro ancora non esiste. Lo inventerete voi, e tornerete qui a spiegarcelo»
Questa frase, attribuita a Umberto Eco, ha un significato molto profondo. Non evoca, come potrebbe sembrare, professionalità ad alto tasso tecnologico, basate su chissà quali innovazioni sconosciute ai più, come algoritmi, intelligenza artificiale, realtà aumentata, realtà immersiva ecc. ecc. Molto più semplicemente lega il lavoro alla persona che lo svolge. Ci dice che ogni lavoro, se fatto con amore e consapevolezza, è qualcosa di inedito, trasformativo e creativo. Necessita di competenze certe, comuni e condivise, ma segue un processo esecutivo e un risultato finale profondamente legato al soggetto che lo ha svolto.
Se applichiamo questa visione alla scuola, al processo di insegnamento/apprendimento, cambiamo la diffusa falsa prospettiva di un ambiente che deve difendersi dalla tecnologia in cui tutti, ragazzi e adulti siamo immersi da quando apriamo gli occhi al mattino a quando li chiudiamo alla sera. Il paradosso è che questa difesa è affidata ad armi totalmente inefficaci quali la censura e il divieto, che, se motivati, presentano argomenti molto deboli, difficilmente sostenibili e incomprensibili per i ragazzi.
L'apprendimento è un viaggio meraviglioso, che coinvolge non solo i discenti, ma le famiglie, gli insegnanti, e la società nel suo insieme, dalle imprese alle istituzioni.
Non sono le tecnologie ma una nuova generazione di studenti, sta facendo emergere nuovi bisogni e nuovi stili di apprendimento che faticano a trovare risposte adeguate.
I testi scolastici tendono a offrire un sapere enciclopedico ancora allineato a modelli didattici basati più su contenuti che su competenze, la didattica tradizionale frontale, ripetitiva e poco coinvolgente, è una pratica ancora molto diffusa soprattutto nelle scuole superiori. È considerata ancora la più affidabile, forse perché è la forma più semplice, meno impegnativa e centrata sul docente. I contenuti digitali sono costruiti per lo più come strumenti accessori e non vengono valorizzati. Gli studenti nativi digitali sono abituati a interagire con naturalezza con tutti i media, hanno stili di apprendimento differenti rispetto al passato e non si ritrovano in una didattica generalista.
Anche i docenti hanno forti difficoltà a rapportarsi con un ambiente che sta cambiando rapidamente e che spesso li costringe a frustranti slalom tra esigenze imposte (pensiamo alla valutazione) e le istanze didattiche. E sono proprio le nuove generazioni di studenti e docenti che, con percorsi alternativi, pongono le basi per il futuro, il loro e quello del paese.
Da tempo, in Italia più che altrove, la scuola spesso è lasciata sola ad affrontare la complessità. Come confermato anche da INVALSI, siamo un Paese nel quale la probabilità di finire bene la scuola, di imparare e di utilizzare la conoscenza acquisita continua a dipendere fortemente dal luogo di nascita, dalla ricchezza e dallo stato sociale della famiglia d’origine. Il tasso di abbandono scolastico in Italia è molto alto, con un divario territoriale che penalizza le molte periferie, le aree di esclusione sociale e culturale e il Mezzogiorno.
Se l’Agenda 2030 dell’ONU per lo Sviluppo Sostenibile ha posto come fine delle azioni politiche di questo secolo la cura del pianeta e delle persone, del benessere collettivo e della giustizia sociale, l’educazione è oggetto primario di attenzione, poiché è l’unico strumento con cui, nel medio e lungo termine, si può realizzare il cambiamento culturale, economico e civile necessario per un nuovo modello di sviluppo, il solo capace di risollevarci dalle crisi del nostro presente e di rispondere alle emergenze future.
La scuola è il primo e più importante luogo che porta le persone a realizzarsi socialmente, è parte del tessuto sociale del territorio, punto di aggregazione e di prevenzione delle devianze.
Il mondo sta viaggiando ad alte velocità, verso un futuro incerto.
Le ultime generazioni di studenti devono prepararsi a questo futuro: ma apprendono attraverso stili diversi e questo rende urgente l’applicazione di nuovi modelli didattici.
È un percorso faticoso, che non può prescindere dall’uso delle nuove tecnologie e che impone una rivisitazione della didattica e degli spazi fisici nelle scuole. Una delle qualità che definisce un buon docente è la costanza. Una virtù che può sembrare forse desueta ma ogni educatore, che sia genitore o docente, propone e sperimenta metodi e strumenti per raggiungere gli obiettivi ed è disposto a variarli se non producono risultati. Intelligenza emotiva e flessibilità quindi sostengono la costanza. Rimanere stolidamente fedeli ad approcci non più praticabili, preclude il successo formativo e rende noiosa e frustrante una professione creativa e arricchente.
