La scuola italiana e la tecnologia

di Franca MILAN - Formatrice

Il parere dell’esperta

Gestire e superare il cambiamento

 Riflettendo sulla diffusa fragilità psicologica dei ragazzi che frequentano le scuole secondarie, molti esperti, psicologi, sociologi e psicoterapeuti imputano questa situazione alla crisi dell'autorevolezza adulta. Spesso gli adolescenti devono farsi carico della fragilità dei genitori e degli insegnanti, inermi e confusi

La perdita di autorevolezza e di riferimento della scuola per i ragazzi è drammatica.

La scuola italiana da diverso tempo sa cosa dovrebbe fare, ma non lo fa, per diverse ragioni che cercheremo di individuare.

Esiste innanzitutto una questione “politica”.

Il Ministero dell'Istruzione e del Merito - che una volta si chiamava della Pubblica Istruzione - dovrebbe essere il più importante in Italia, ma viene considerato un ministero di serie C. Gran parte delle risorse deve spenderle per tenere a bada gli adulti, non per i ragazzi.

La scuola che non riesce ad adattarsi ai cambiamenti impetuosi che hanno travolto la socialità e le relazioni, non dovrebbe più essere organizzata sulle singole materie. Durante la scolarizzazione di massa il sapere è stato diviso in segmenti arbitrari (chimica, fisica, matematica, lettere ecc.) sulla base dell’antica dicotomia Scienza/Umanesimo. L'arrivo di internet, ci ha dimostrato quello che già sapevamo e cioè che l'essere umano è fatto per l'interdisciplinarietà. Ma se tocchi le materie, nella scuola crolla il sistema.

Una valutazione settaria inoltre favorisce le bocciature e aumenta la dispersione scolastica. Esistono sistemi di valutazione non numerici che sarebbero più utili. La valutazione come viene erogata oggi non favorisce l'apprendimento, ma la competizione, a partire dalla primaria.

Quello che serve non è sapere le materie a memoria. Questo funzionava quando l’insegnante era l’unico detentore del sapere. Il problema, quindi, non è acquisire le nozioni ma avere la chiave per trovarle e elaborarle. Si deve insegnare non tanto a rispondere alle domande, ma a fare le domande giuste.  

La scuola perpetua un modello obsoleto che demonizza la tecnologia usata da tutti, alimentando una pericolosa frattura tra generazioni

In una società che vive online, i ragazzi vanno educati alla tecnologia, non tenuti lontano il più possibile.

Ci sono insegnanti che stanno cambiando approccio. Ci sono scuole delle relazioni e delle responsabilità, dove si insegna a usare l'intelligenza artificiale e la valutazione non è un numero, ma un percorso consapevole e condiviso che dura l’intero anno scolastico. In base all'autonomia scolastica, lo possono fare tutte le scuole. Il problema è che è impossibile mettere a regime questi sistemi, perché regolamenti e pressioni dirigenziali ne ostacolano l’attuazione.

In questo momento la scuola italiana sta affrontando un esodo di adolescenti, ragazzi intelligenti, prevalentemente maschi, che non vogliono più andare a scuola e non studiano più e un adolescente che non è a scuola, è in un posto peggiore, chiuso in camera o per strada.

I ragazzi che a scuola seguono gli insegnanti lo fanno in nome della relazione, del fatto che sentono che c'è un soggetto che si identifica con loro. La rigidità e l'autorità non funzionano più, serve una autorevolezza basata sulla competenza e sulla capacità di entrare in relazione. Non serve l'apprendimento dall'alto al basso, una scuola dove l'insegnante ti racconta cosa sa e il discente gli deve restituire quello che ha detto. Le stesse informazioni si trovano su internet quando vogliamo. È cambiato tutto, ma la scuola è rimasta ferma. Chi difende la scuola, con i cinque in condotta, le bocciature, le sanzioni ecc.  sta scherzando col fuoco, perché rischiamo davvero che i ragazzi la abbandonino del tutto.

Oggi il presidente del consiglio parla prima ai social che ai canali istituzionali e poi diciamo che i social fanno male ai ragazzi.

La tecnologia è uno strumento. Gli insegnanti più innovativi, creano percorsi interdisciplinari con l'intelligenza artificiale, insegnano il pensiero critico, non la memorizzazione.

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